La pubblicità e la persistenza degli stereotipi

15.04.2025

Nel panorama pubblicitario contemporaneo, i progressi sociali sembrano coesistere con una sorprendente resistenza a trasformare determinati immaginari collettivi. Ciò che vediamo sugli schermi televisivi, sui cartelloni e nelle campagne online è spesso il riflesso di una visione antiquata della donna e dell'uomo, ridotti a simboli più che a individui.

Un esempio emblematico è la pubblicità dei materassi, dove il comfort viene associato a un corpo femminile seminudo adagiato su di essi, come se la sensazione di benessere fosse esclusivamente legata all'immagine della donna e non a un'esperienza universale. Ma il fenomeno non si limita ai materassi: le automobili di lusso, i profumi, persino gli alimenti vengono proposti attraverso una narrazione che vede la donna quasi sempre come oggetto di desiderio, ancillare rispetto al prodotto e mai protagonista del proprio spazio.

E poi ci sono le pubblicità degli adesivi per dentiere, un caso che rivela un altro lato del problema: la negazione della realtà dell'invecchiamento. Invece di mostrare persone anziane, spesso le campagne pubblicitarie scelgono donne cinquantenni dai volti impeccabili, lontani da chi nella stragrande maggioranza dei casi utilizza il prodotto. È una strategia che vende un'illusione, suggerendo che la bellezza e la giovinezza siano requisiti indispensabili anche in un contesto in cui l'utilità del prodotto dovrebbe essere al centro.

Eppure questa rappresentazione raramente suscita indignazione. Anche chi denuncia il patriarcato e le disparità di genere spesso non si sofferma su quanto il linguaggio pubblicitario contribuisca a consolidare questi modelli. È una normalizzazione insidiosa, che trasforma l'oggettivazione e la falsificazione della realtà in semplice consuetudine, rendendole quasi impercettibili.

Il problema, tuttavia, non risiede nei singoli pubblicitari, ma in un sistema che ha assimilato queste strategie di comunicazione come meccanismi di vendita consolidati. Si potrebbe obiettare che le pubblicità sono costruite per attirare l'attenzione, per sedurre e convincere, e che gli stereotipi hanno sempre fatto parte di questo processo. Ma proprio perché rappresentano un riflesso della società, dovrebbero essere anche capaci di evolversi con essa.

La pubblicità ha il potere di ridefinire l'immaginario collettivo e di proporre nuove narrazioni, non limitandosi a ripetere formule consumate. Esistono già esempi di campagne che sfidano i cliché, che mostrano donne e uomini come individui completi, non come sagome bidimensionali legate a ruoli precostituiti. Ma affinché questa evoluzione diventi la norma, è necessario un processo culturale più ampio, che inviti a una riflessione critica su ciò che vediamo e su ciò che accettiamo senza domandarci il perché.

La pubblicità è uno specchio della nostra società. Se vogliamo un riflesso diverso, dobbiamo essere disposti a cambiare lo sguardo con cui osserviamo.