Ragebait

15.12.2025

La parola che l'Oxford Dictionary ha indicato come più significativa del 2025 è ragebait, che significa "esca per la rabbia". Un termine che descrive alla perfezione la polemica esplosa attorno a una scuola primaria di Reggio Emilia, accusata di aver censurato Gesù Bambino da Jingle Bells.

Le insegnanti avevano proposto ai bambini una versione leggermente modificata della canzone: al posto del verso "aspettando i doni che regala il buon Gesù" compariva "aspettiamo la pace e ne chiediamo ancor di più". Tanto è bastato perché la notizia venisse rilanciata dai media come "una scuola emiliana cancella Gesù dal Natale", trasformandosi in un perfetto caso di ragebait, un'esca ben confezionata lanciata in uno stagno popolato da indignazioni pronte a mordere.

Prima si è accesa la rabbia dei tradizionalisti, per i quali guai a toccare il Natale dei padri, dei nonni e dei bisnonni, soprattutto se l'obiettivo dichiarato è includere anche chi professa altre religioni. Poi, per reazione, è esplosa l'indignazione opposta, quella di chi si chiede come sia possibile scandalizzarsi perché dei bambini augurano la pace proprio mentre il mondo parla solo di riarmo e di guerre, reali o imminenti.

Ma il vero paradosso, semmai, sta a monte. Il riferimento a Gesù in Jingle Bells non esiste nel testo originale americano, che è un canto laico sulle corse in slitta con i campanelli, scritto per il Ringraziamento e non per il Natale. Quindi, né Gesù, né doni. Il sacrilegio, se così vogliamo chiamarlo, fu semmai del traduttore italiano che inserì "il buon Gesù" in un testo che con la religione non ha nulla a che fare.

E poi i regali non li porta Babbo Natale? Quando Gesù distributore di giocattoli è diventato un dogma del catechismo cattolico? Se invocare la pace è un'offesa al cristianesimo, allora cosa dovremmo pensare dell'immagine - ben più discutibile - di una figura divina aggirarsi tra i negozi di giocattoli a fare incetta di Lego, Barbie e peluche?

Il ragebait funziona perché va a colpire alcuni nervi scoperti, e sul Natale se ne concentrano molti. Gli adulti proiettano in questa festa nostalgie, rimpianti e il rimorso per un presente che non è all'altezza dei sogni dell'infanzia. Accettano una quotidianità fatta di stress e precarietà, ma pretendono che almeno le tradizioni restino intatte a fare da conforto alle loro insicurezze.

Si dice che il Natale sia la festa dei bambini, anche se spesso è la festa degli adulti che ricordano se stessi bambini. Non quelli di oggi, che crescono in classi multietniche e multireligiose e non vedono alcun problema nel cantare insieme una canzone natalizia che esprima un desiderio semplice e universale: un futuro senza guerre. Un futuro di uomini e donne di buona volontà, in cui le "esche per la rabbia" restino a penzolare inutilmente, perché nessuno avrà più voglia di abboccare.