
Segni dei tempi

(Luci soffuse. Al centro del palco, una persona in abiti sobri. Si guarda attorno con aria complice. Prende fiato. Comincia pacato ma visibilmente carico di sarcasmo)
Una volta, per vedere i tatuaggi, bisognava entrare in un porto, in un carcere oppure dovevi avere una zia americana reduce da Woodstock.
Oggi ce li ha anche mia zia Carla, quella che fa la maglia a uncinetto e ha un infinito tatuato sul polso con scritto "Family & Freedom".
Family & freedom? O l'uno o l'altro, zia. Scegli.
(Pausa. Sorride amaro)
Il tatuaggio, da gesto di ribellione è diventato un atto conformista in technicolor. Come i jeans strappati: chi li indossa pensa di essere sovversivo, ma li vendono da OVS a 14,90.
Siamo passati dal tatuaggio come atto di ribellione al tatuaggio come rappresentazione del proprio disagio esistenziale.
Un tempo i tatuaggi indicavano il rango sociale, la tribù di appartenenza… o lo facevi per ricordare la guerra. Oggi lo fai perché ti ha lasciato Alessio con un messaggio vocale di due minuti e mezzo.
E allora… benvenuti nell'era del tatuaggio democratico, dove non è più necessario avere una storia da raccontare, ma solo un pomeriggio libero e una carta prepagata.
(Imita una voce teneramente affranta)
«Voglio tatuarmi una rondine... perché volo via da tutto ciò che mi ha ferita».
Ma intanto abiti ancora con i tuoi, dormi con il pigiamone dei Peanuts e chiedi la password del Wi-Fi a tua madre.
Chi si tatuava negli anni '70 voleva sfidare la società borghese… oggi il tatuaggio è un modo per… restarci dentro.
(Il tono si fa più pungente)
E tutti, tutti con la stessa fenice, la stessa bussola, lo stesso mandala.
Mandala, sì!... che pare disegnato da un compasso ubriaco.
Sul braccio del barista, un orologio senza lancette: «il tempo non esiste» ti dice, mentre ti serve un caffè dopo venti minuti che l'hai ordinato ed è diventato decaffeinato per anzianità.
Sul polpaccio del personal trainer una tigre che ruggisce tra le fiamme. «Rappresenta la forza interiore» – spiega – mentre cerca le chiavi della Smart.
Sul collo della parrucchiera di mia moglie ho visto tatuato un codice a barre. Forse è un richiamo all'origine industriale dell'essere umano, ho pensato… Chissà! O forse era in saldo.
«È una cosa molto personale» ti dicono con lo sguardo serio, indicando un serpente che si morde la coda intorno all'ombelico. «Una nuova fase» dice, «dopo la rottura con Stefano volevo fare qualcosa solo per me». Certo, la psicanalisi costava troppo.
E le scritte?
Oh, le scritte!
In latino, in cinese, in greco... in sanscrito!... o peggio… in inglese motivazionale: "Only God can judge me" … poi magari parcheggia in seconda fila.
"Stay strong" … ma non riesce a resistere davanti alla seconda brioche.
Una volta ho visto un mio amico che aveva inciso sulla schiena: "Family first", poi ho saputo che non andava a trovare la madre anziana da mesi.
Sul bicipite di uno che consegnava sushi a domicilio, ho letto: "Vita brevis, gloria eterna". Mah!
I tatuaggi! E comunque chi sei tu per giudicare?
Solo Dio può farlo. Lo dice anche la scritta in sanscrito tra le tette della cassiera dell'Eurospin.
Certo.
Però se qualcuno si disegna Hello Kitty in fronte, magari un paio di domande ce le possiamo fare.
(Pausa. Si ammorbidisce. Si avvicina al pubblico quasi con affetto)
No, sul serio. Io capisco il bisogno di lasciare un segno. Di raccontare chi sei.
Ma se la tua storia personale è un drago che sputa fiamme dal coccige alla scapola, forse il problema non è il tatuaggio.
È che stai usando il tuo corpo come se fosse la cartellonistica della tangenziale est.
(Ora più feroce, ma sempre lucido)
E il tatuatore? La figura del tatuatore è oggi mitologica. Ha lo status del terapeuta e il potere del confessore.
Ha liste d'attesa più lunghe di un esame all'ASL e preventivi da chirurgo plastico.
Si prenota con mesi d'anticipo, si paga a rate, si sceglie come si sceglierebbe un neurochirurgo.
I clienti si affidano a lui come a un sacerdote laico: «Vorrei una tigre con lo sguardo di mia madre ma anche un po' di Shiva. Deve rappresentare la mia ansia da prestazione e il fatto che sono bilancia ascendente scorpione». Il tutto a soli 300 euro.
E l'ansia? Resta.
Però adesso hai una balena triste sul costato che rappresenta il senso del vuoto cosmico.
Che carina, la balena.
Ma magari bastava parlarne con uno bravo. Uno con la laurea, non uno con la barba da falegname norvegese e la playlist "Emo chill vibes" in sottofondo.
(Si ferma. Il tono si fa più amaro. Più intimo)
Sia chiaro, io non ho nulla contro i tatuaggi.
Davvero.
Il problema non è l'inchiostro. È il vuoto che proviamo a riempirci addosso. Il bisogno di imprimere qualcosa perché dentro non resta più niente.
Solo slogan, simboli e frasi vuote che sembrano uscite da un romanzo di Fabio Volo scritto durante una sbornia.
E così… tutti tatuati.
Tutti profondi.
Tutti uguali.
(Silenzio. Guarda il pubblico con uno sguardo affettuoso)
Sono i segni dei tempi.
(Buio)